tura nelle scuole; dopo che in moltissime città dell’Alta Italia e del mezzogiorno i miei libri furono adottati (Firenze eccettuata e si capisce...) la fortuna cominciò a volgermisi contro. Per ispiegar meglio le cose aggiungerò che la «Commissione centrale» istituita, credo, dall’onorevole Baccelli, aveva l’incarico di leggere tutti i libri che si pubblicavano per le scuole elementari e di sceglierne dopo un accurato esame — una lista la quale veniva sottoposta all’approvazione del ministro. E il ministro, si capisce, approvava sempre. I maestri — dal canto loro — dovevano scegliere per le loro scuole come libri di testo, soltanto nella nota dei volumi approvati. Tutti gli altri (e si trattava di centinaia di volumi) rimanevano esclusi. Quindi lo sviluppo di un intero ramo di commercio dipendeva, come si vede, dal giudizio non sempre imparziale di una commissione, la quale era composta di bravissima gente, ma che si intendeva di educazione, e specialmente di educazione moderna, quanto io mi intendo di ingegneria elettrica. Alla Minerva piovvero proteste di tutti i generi e di tutti i colori: e la commissione, dura. Questa commissione, la quale, non si capisce perchè, approvava dei libri che contenevano manifestamente errori di scienza, di pedagogia, di stile e di lingua, mettendone da parte altri benissimo compilati, cominciò ad avere in uggia me e il mio nome, e a scartare i miei libri scolastici per partito preso. Bastava che su un volume fosse scritto «Ida Baccini» perchè i giudici lo bocciassero. Siccome la benemerita commissione non giustificava pubblicamente, referendo ne’ giornali o nel bollettino dell’Istruzione, il suo operato, bisognava rassegnarsi alla condanna senz’appello, e perder nome e quattrini soltanto per il capriccio di