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spondevano! In modo così preciso da strappare il cuore!

L’aritmetica (consistente nel contare e sottrarre sul pallottoliere dall’uno al cento e viceversa) veniva insegnata per mezzo d’una cantilena monotona, interrotta, ad ogni diecina, dalla solita bacchettata. E così si istruivano e si conducevano fino all’esame finale centinaia e centinaia di poveri bambini innocenti! Il professor Dazzi a cui raccontai tutto, mi disse:

— Ella ha ragione, ma pel momento taccia e non si metta in urto con nessuno. Se riuscirà, come non ne dubito, a guadagnarsi il cuore della signora X, che in fondo è una buona donna e agisce in perfetta buona fede, non Le sarà difficile persuaderla a mutar sistema...

— Ma i direttori, le direttrici locali...

— Non ne parliamo. Ma non creda — aggiunse — che tutte le maestre elementari di Firenze sieno come la signora X... Ve ne sono delle valenti, delle brave. Cercherò piuttosto di farle mutare scuola al nuovo anno...

Seguii il consiglio dell’amico e non me ne trovai male. In capo a due o tre mesi ci davamo del tu con la signora X, ed ella mi lasciò fare in classe quanto mi pareva e piaceva.

Mutai altre scuole, ma i sistemi, su per giù erano quelli: le classi, un accasermamento di poveri ragazzi pigiati sui banchi come le sardine in una botte: gl’insegnanti tanti poveri pastori scontenti, armati di un bastone per tener nelle file il gregge. Da questi ultimi mi piace però di eccettuare la signora Vittoria Sorelli-Gerbi, una piccola signora tutta vivacità e buon senso, un bravissimo giovane, certo Carlo Gallo, che finì mi-