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sempre il pensiero, che dico il pensiero? il desiderio ardente di non esser del tutto a carico del babbo, di guadagnar qualche soldarello che mi mettesse in grado di provvedere alle spese della mia più che modesta toilette.

Ma come guadagnare? A quindici anni non era facile, specialmente coi sistemi a base di reclusione con cui si educavano allora le fanciulle. Avevo veduto in bottega di Drea un giornale letterario settimanale sul genere del famoso Emporio pittoresco. Usciva le domeniche e conteneva qualche discreto articoluccio di attualità, versi, romanzi a continuazione e una novella. S’intitolava Il Giornale Illustrato e pagava regolarmente (allora queste cose usavano), i suoi collaboratori. Quest’ultima e importante informazione me l’aveva data il povero Barabino. Avendo letto su quel periodico delle cosette abbastanza idiote, a paragone delle quali certe mie pagine sarebbero parse capilavori, venni nell’idea luminosa di mandare un lavoro a quella direzione. Era una novella-fantasia un po’ alla Ratcliffe che m’era stata ispirata da una recente passeggiata alla Certosa, al lume di luna.

Dopo un lungo mese di aspettativa e di inutili gite alla posta (avevo messo nella confidenza la mamma, ma il babbo, pel momento, doveva ignorar tutto) ricevei la risposta nella Piccola posta del giornale stesso. Era laconica ed eloquente in pari tempo: Ricevuto, letto, cestinato.

Un facsimile del veni, vidi, vici di Cesare. Qui è proprio il caso di farmi un elogio, e me lo fo, commossa: io non pensai affatto che quei signori potessero esser degli asini, ma mi persuasi subito che il