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XX
Del scelerato peccatore penitente
O me lasso, dolente, — ca lo tempo passato
male l’ho usato — en ver’ lo Creatore.
Tutto lo mio delettare, — da poi che m’allevai,
fo del mondo amare: — de l’altro non pensai;
or me conven lassare — quel che piú delettai
6 ed aver pena assai — e tormento e dolore.
Lo mangiare e lo bere — è stato el mio deletto,
e posare e gaudere — e dormire a lo letto;
non credeva potere — aver nullo defetto;
io or so morto e decepto, — ch’agio offeso al Signore.
Quand’altri gi’ al predecare — o a udir messa ad santo,
ed io me giá a satollare — e non guardava quanto;
poi me rendea a cantare: — or me retorna en pianto;
r 4. quello fo lo mal canto — per me en tutto peggiore.
Quando alcun mio parente — o amico deritto
me reprendea niente — o de fatto o de ditto,
respondeali mantenente, — tanto era maleditto:
18 — Morto en terra te mitto — se ne fai piú sentore. —
Quando en assembiamento — bella donna vedia,
faceagli sguardamento — e cenni per maestria;
se non gli era en talento, — vantando me ne giá:
22 da me non remania — che non avesse descionore.
Per la mala ricchezza — ch’a sto mondo agio avuta,
so visso en tanta alteza, — l’alma n’agio perduta:
la mala soperchianza, — coni’ è da me partuta,
20 siramme meretuta — de foco e d’encendore.
La vita non me basta — a farne penetenza,
ché la morte m’adasta — a darne la Sentenza;
se tu, Vergene casta, — non acatte indulgenza,
30 l’anema en perdenza — gira senza tenore.