Pagina:Iacopone da Todi – Le Laude, 1930 – BEIC 1854317.djvu/224

En mezo de sto mare — essendo si abissato,
giá non ce trova lato — onde ne possa uscire.
De sé non può pensare — né dir corno è formato,
però che, trasformato, — altro si ha vestire.
Tutto lo suo sentire — en ben si va notando,
32 belleza contemplando — la qual non ha colore.
De tutto prende sorte: — tanto ha per unione
de trasformazione, — che dice: — Tutto è mio. —
Aperte son le porte, — fatta ha coniunzione,
ed è en possessione — de tutto quel de Dio.
Sente que non sentio, — que non cognove vede,
38 possedè que non crede, — gusta senza sapere.
Però ch’ ha sé perduto — tutto senza misura,
possedè quel’altura — de summa smesuranza,
Perché non ha tenuto — en sé altra mistura,
quel ben senza figura — receve en abondanza.
Questa è tal trasformanza, — perdendo e possedendo,
44 giá non andar chirendo, — trovarne parladore.
Perder sempre e tenere, — amare e delettare,
mirare e contemplare, — questo reman en atto.
Per certo possedere — ed en quel ben notare,
en esso reposare, — ove se vede tratto:
questo è un tal baratto, — atto de caritate,
50 lume de veritate — che remane en vigore.
Altro atto non ci ha loco, — lá su giá non s’apressa:
quel ch’era si se cessa — en mente che cercava.
Calor, amor de fuoco, — né pena non c’ è admessa:
tal luce non è essa — qual prima se pensava.
Quel con que procacciava — bisogno è che lo lassi,
56 a cose nòve passi — sopr’onne suo sentore.
Luce gli pare oscura — qual prima resplendea;
que virtute credea, — retrova gran defetto.
Giá non può dar figura — corno emprima facea,
quando parlar solea, — cercar per entelletto.
En quello ben perfetto — non c’ è tal simiglianza,
62 qual prese per certanza — e non è possessore.