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La Bontá sottra’ a l’affetto — lo gusto del sentimento;
lo ’ntelletto, ch’è ’n pregione, — esce en suo contemplamento:
l’Affetto vive en tormento, — de lo ’ntender se lamenta,
30ché ’l tempo gli empedimenta — del corrotto che voi fare.
Lo ’ntelletto, poi che gusta — lo sapor de sapienza,
lo sapor si l’asorbisce — nella sua gran compiacenza,
gli occhi d’entelligenza — ostopiscon de vedere:
34non voglion altro sentire — se non questo delettare.
L’Affetto non se cci acorda, — ché voi altro che vedere,
ché’l suo stomaco se more — se non i porge que paidire;
vole a le prese venire, — si ha fervido appetito:
38lo sentir che gli è fugito — piange senza consolare.
Lo ’ntelletto dice: — Tace, — non me dare piú molesta,
ché la gloria che io vegio — si m’è gaudiosa festa;
non me turbar questa vesta: — de vene esser contento
42contentar lo tuo talento — en questo mio delettare. —
— Oimè lasso, che me dici? — par che me tenghi in parole,
ché tutto el tuo vedimento — si me paion che sian fole:
ché consumo le mie mole, — ché non hone macinato,
46e tanto agio degiunato; — e tu me ne stai mò a gabare. —
— Non te turbar se me vegio — beneficia create,
ca per esse si conosco — la divina Bonitate;
siram reputati engrate — a non volerle vedere:
50però te deveria piacere — tutto sto mio fatigare. —
— Tu ce offendi qui la fede — de gir tanto speculando,
e la sua immensitate — de girla abreviando:
e vai tanto asutigliando, — che rompe la ligatura,
54e toglime ’l tempo e l’ura — del mio danno arcoverare. —
Lo’ntelletto dice: — Amore — ch’è condito de sapere,
parerne piú glorioso — che questo che vói tenere:
se io me sforzo a vedere — chi, a cui e quanto è dato,
58será l’amor piú levato — a poterne piú abracciare. —
— A me par che sapienza — en questo fatto è iniuriata,
de la sua immensitade — averla si abbreviata:
per veder cosa creata, — nulla cosa n’ hai compreso,
—
62e tiemme sempre sospeso en morirme en aspettare. —