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Tu entrassi questa carne — a li vermi en sepultura:
32 deverila cruciare — en molta sua mala ventura.
Non curar piú d’esto corpo, — ché la cura n’ha ’l Signore,
né de cibo né de vesta — non curar del malfattore. —
— Falsadore, io notrico — lo mio corpo, no l’occido:
36 de la tua tentazione — beffa me ne faccio e rido.
Io notrico lo mio corpo — che m’aiuta a Dio servire,
a guadagnar quella gloria — che perdesti en tuo fallire. —
— Gran vergogna è a te fallace — sostener carne corrutta,
40 la battaglia cusi dura — guadagnar lo ciel per lutta.
Tu me par che si’ indiscreto — per lo modo che tu fai:
cruciar cusi el tuo corpo — e de lui cagion non hai.
Tu deveri aver cordoglio, — ché è vecchio e descaduto;
44 non deveri poner soma — né che solva piú tributo.
Tu deveri amar lo corpo — corno ami l’anima tua,
ché t’è grande utilitate — la prosperitate sua. —
— Io notrico lo mio corpo — dargli sua necessitate:
48 accordati simo ensieme — che vivamo en castitate.
Per l’astinenza ordenata — el corpo è deventato sano,
molte enfirmitá ha caritè — che patea quand’era vano.
Tutta l’arte medicina — si se trova en penetenza,
52 che gli sensi ha regolati — en ordenata astinenza. —
— Un defetto par che aggi — che è contra la caritate:
degli pover vergognosi — non par ch’agi pietate.
Tu deveri toller frate — che te voi l’om tanto dare,
56 sovenir a besognosi — che vergognan demandare:
e farie utilitate — molto grande al daitore,
e siria sostentamento — grato a lo recepetore. —
— Non so piú che m’è tenuto — lo mio prossimo d’amare,
60 e per me l’agio arnunzato — per potere a Dio vacare.
S’io pigliasse questa cura — per far loro acattaria,
perderla la mia quiete — per lor mercatuntaria.
S’io tollesse e daesse, — nogl porria mai saziare,
64 e turbára el daitore — non contento del mio dare. —
— Un defetto par che agi — del silenzo del tacere:
multi santi per quiete — nel deserto volser gire.