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lauda xlii | 89 |
— Del mondo ch’agio ’l vestire, — vegente voi, me ne spoglio.
e nul encarco mondano — portar meco piú voglio;
ed omne creato ne toglio — ch’io en core avesse albergato.
— Non ne pari spogliata — como si converría;
del mondo non se’ desperata, — spene ci hai falsa e ria;
spògliate e gettala via, — ché ’l cor non sia reprovato.
— Ed io me voglio spogliare — d’omne speranza ch’avesse,
e vogliomene fugire — da om che me sovenesse;
megli’è se en fame moresse — che ’l mondo me tenga legato.
— Non ne pari spogliata — che glie ne sia ’n piacemento,
de spirital amistanza — grande n’hai vestimento;
usate ché getta gran vento — e molti sí ci on tralipato.
— Molto m’è duro esto verbo — lassar loro amistanza;
ma veggio che lor usamento — m’arieca alcuna onoranza;
per acquistar la vilanza — siragio da lor occultato.
— Non t’è oporto fugire — lor usamento a stagione,
ma ètte oporto fugire — de non oprir tua stacione;
per uscio entra latrone — e porta el tuo guadagnato.
— Opriteme la porta, — pregove en cortesia,
ch’io possa trovar Iesú Cristo — en cui aggio la spene mia;
respondemi, amor, vita mia, — non m’eser ormai straniato.
— Alma, poi ch’èi venuta — respondote volontire:
la croce è lo mio letto, — lá ’ve te poi meco unire;
sacci si vogl salire — haveráme po’ albergato.
— Cristo amoroso, e io voglio — en croce nudo salire;
e voglioce abracciato — Signor, teco morire;
gaio seram’a patire, — morir teco abracciato.