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XXXII

Como è da guardarse da’ lupi
che vengono sotto vesta de pecora

     — O anema fedele — che te voli salvare,
guárdate dagli lupi — che te von per morsecare.
     O anema fedele — che vol salvazione,
guárdate dal lupo — che vien como ladrone;
mostrandotese amico, — si viene a tua magione,
facendo suo sermone, — ché te crede engannare.
     — Lo Signor te lo merite — ché me dái tal conseglio!
parme me die aiuto — de trarrne de sto empiglio;
tanto m’ò assediata,— che m’ò messo en esiglio;
quando bene assimiglio, — non saccio ove campare.
     — Lo Signor te n’amaestra — che tu degge cavere
dal lupo che da fuore — co pieco vol venére;
venendo a tua magione — non se lassa vedere;
poi briga de mordère — e la grege dissipare.
     Se te volesse dire — quel ch’io agio sentito,
faría maravigliare — colui che non l’ha udito;
tal viene como medico — che sia bene assendito;
da poi ch’è discoprito, — briga d’atossecare.
     Non avere temenza — de dir tuo entendemento;
ché io sí mo te dico — quel che nel cor sento;
poi che ’l lupo apicciase, — dá mal mordemento;
poi che n’hai sentemento, — brigate de guardare.
     — Co me posso guardare? — tanto m’ò assediata
quegli da cui degio — essere predicata,
mostrandomesi agnelli, — fin che m’on securata;
da lor so morsecata, — non so en cui me fidare.
     — Se non te vol fidare — sí fai gran sapienza;
ca cui la serpe morseca, — la lucerta ha ’n temenza;
le pieco aggi en dubito, — ché non hai conoscenza;
perché tua conscienza — non possa travagliare.


Fra Iacopone. 5