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XXI

De quello che domanda perdonanza da poi la morte

     — O Cristo pietoso, — perdona el mio peccato,
ch’a quella son menato — che non posso piú mucciare.
     Giá non posso piú mucciare — ché la morte m’ha ’battuto;
tolto m’ha el solazzare — desto mondo ove son suto;
non ho potuto altro fare, — son denante a te venuto;
èlme oporto el tuo aiuto — ché ’l Nemico volme accusare.
     — Non è tempo aver pietanza — po’ la morte del peccato;
fatta te fo recordanza — che tu fusse confessato;
non voleste aver leanza — en quel che te fo comandato,
la iustizia ha ’l principato — che te vole esaminare.
     Lo Nemico sí ce vene — a questa entenzagione:
— O Signor, pregote bene — che m’entende a ragione;
che a questo omo s’avene — ch’io lo mene en pregione,
s’io provo la cagione — co el se de’ condennare. —
     El Signor che è statera — responde a questo ditto:
— La prova, se ella è vera, — entenderolla a distritto;
ché onne bono omo spera — ch’io sia verace e dritto;
se hai il suo fatto scritto — or ne di’ ciò che te pare.
     — Signore, tu l’hai creato — come fo tuo piacemento;
de grazie l’hai ornato, — désteli descernemento;
nulla cosa ha osservato — de lo tuo comandamento;
a cui fece el servemento — lo ne deve meritare.
     Ché molto ben sapea — quando tollea l’usura,
al povero si daéa — molto manca mesura;
ma ne la corte mea — li farò tal pagatura,
ch’el non sentí ancura — de que i farò asagiare.