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XV
Como l’anema retorna al corpo per andare al iudicio
— O corpo enfracedato,— io so l’anima dolente;
lièvate amantenente — ché sei meco dannato.
L’agnolo sta a trombare — voce de gran paura;
opo n’è appresentare — senza nulla demora,
stavimi a predicare — che non avesse paura,
male te credette alora — quando feci el peccato.
— Or se’ tu l’alma mia — cortese e conoscente!
puoi che t’andasti via, — retornai a niente;
famme tal compagnia — che io non sia dolente,
veggio terribel gente — con volto esvaliato.
— Queste son le demonia — con chi t’è opo abitare;
non t’è opo far istoria; — que te oporá portare
non me trovo en memoria — de poterlo narrare;
se ententa fosse el mare — non ne siría pontato.
— Non ce posso venire, — ché so en tanta afrantura
che sto su nel morire, — sento la morte dura;
sí facisti al partire: — rompesti omne iuntura,
recata hai tal fortura — che ogne osso m’ha spezato.
— Como da tene a mene — fo apicciato amore,
semo reiunti in pene — con eterno sciamore;
l’ossa contra le vene, — nervi contra iunture;
sciordenati onne umure — de lo primero stato.
— Unquanco Galieno, — Avicenna, Ipocrate
non sapper lo conveno — de mei enfermetate;
tutte enseme iongono — e sòmmese adirate;
sento tal tempestate — che non vorria esser nato.