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XIV
Como li vizi descendono da la superbia
La superbia de l’altura — ha fatte tante figliole;
tutto ’l mondo se ne dole — de lo mal che n’è scontrato.
La superbia appetisce — omne cosa aver soietta;
soprapar non vol niuno — e glie qual non gli deletta;
glie menor mette a la stretta, — ché non i pò far tanto onore
quanto gli apetisce el core — del volere sciordenato.
Aguardando a soi maiure, — una invidia c’è nata;
non la puote gettar fuore, — teme d’esser conculcata;
l’odio sì l’ha ’mpreinata,— ensidie va preparando
per farglie cader en bando, — ché del lor sia menovato.
Per poter segnoregiare — si fa giure ne la terra,
e le parte ce fa fare — donde nasce molta guerra;
lo suo cor molto s’aferra — quel che pensa non pò avere,
l’ira sí lo fa ensanire — como cane arabbiato.
Puoi che l’ira è su montata — e nel cor ha signoria,
crudeltate è aparechiata — de star en sua compagnia;
de far grande occideria — non li par sufficienza
tant’è la malavoglienza — che nel cor ha semenato.
Puoi che l’ira non pò fare — tutto quanto el suo volere,
una accidia n’è nata, — entra ’l core a possedere;
omne ben li fa spiacere, — posta è ’n estremo temore,
le merolle i secca en core — del tristor c’ha albergato.
L’accidia molto pensosa — va pensando omne viagio;
se l’aver ce fosse en alto, — empieriase el tuo coragio;
l’avarizia che al passagio — entra a posseder la corte,
destregnenza si fa forte — ad ogne uscio far serrato.