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i testi umbri, i quali attinsero probabilmente a fonte piú diretta, ma furono anche condotti da menanti assai rozzi ed incolti»1. Il Bonaccorsi non potè giovarsi, è vero, dei codici veneti, o almeno non ne fa cenno nel proemio: in compenso però egli aveva i codici todini assai antichi, dai quali nessuno di noi disgraziatamente può trarre profitto. Orbene, se l’acume critico di un egregio studioso come il Brugnoli può dare maggior affidamento di rigore scientifico nello studio dei codici e nella scelta della lezione, ciò non basta a compensare il difetto di quella pura fonte originale a cui attinse il Bonaccorsi, e della quale a noi son giunti soltanto alcuni piccoli e torbidi rigagnoli.

Ma, sempre a proposito della lezione in alcun luogo incerta o toscaneggiante dell’edizione principe, mi sia lecito insistere sopra un concetto da me espresso altra volta e che il Brugnoli non ha creduto opportuno di confutare. Secondo il D’Ancona2, la lingua originale dei ritmi iacoponici doveva esser l’umbra o, meglio, il volgare di Todi. «Se si volesse dare — io scrivevo — un valore assoluto all’opinione dell’illustre critico, bisognerebbe convenire che il testo dell’edizione fiorentina qua e lá si discosta notevolmente da quello che doveva essere il linguaggio tudertino del Duecento. Ma, quando si pensi che l’editio princeps, sebbene risulti dalla concordanza di piú raccolte diverse tra loro per l’etá e per l’origine, si fonda sopra tutto sui due codici todini assai antichi, e che le maggiori divergenze dall’uso umbro si riscontrano specialmente in quelle ultime poesie, della cui autenticitá si può a buon diritto dubitare anche per una certa ineguaglianza di stile, per la banalitá di alcune espressioni e, spesso, per la mancanza di quello che potrebbe chiamarsi ‘sapore’ iacoponico, vien da pensare che il fondo idiomatico primitivo non abbia poi subito nel testo bonaccorsiano troppo profonde modificazioni. Ma c’è di piú. I biografi di Iacopone, che hanno seguito cecamente la tradizione senza curarsi di separare i fatti positivi da tutti i particolari fantastici formatisi per false interpretazioni dei passi autobiografici e per analogia di altre leggende francescane, affermano concordi che l’amor Dei usque ad contemplum sui fu cosí ardentemente sentito dal poeta tudertino, da indurlo a commettere, insieme con

  1. Op. cit., p. vii.
  2. Op. cit., p 46.