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il Brugnoli crede di ravvisare una copia nel cod. 1037 della Nazionale di Parigi; ma, in ogni modo, anche questo è del secolo xv e meno utile di altri codici umbri coevi, di cui non s’è ancor potuto rintracciare l’archetipo. Resta il terzo gruppo, quello dei codici toscani o toscaneggianti. Non avendoli l’editore menzionati partitamente, noi siamo anche disposti ad ammettere che si possano identificare con alcuni dei numerosi codici toscani che ancor possediamo. Non saprei dire però quanto e fino a che punto essi siano stati utilizzati. Quali sono adunque le fonti «non meno e forse piú autorevoli» della raccolta bonaccorsiana, alle quali si può ricorrere per la ricostruzione di un testo critico delle poesie iacoponiche?
Per ciò che concerne il difetto di criteri sicuri nell’adozione delle forme grafiche e fonetiche, si può osservare che nel secolo xv la grafia non aveva ancor preso una forma definitiva, e che l’incertezza grafica si rileva in tutti i codici, piú grave anzi negli antichi — com’è naturale — che nei recenti. Perché dunque rimproverarla soltanto alla stampa bonaccorsiana? E, quanto al dubbio espresso dal Brugnoli intorno alla incapacitá dell’editore fiorentino di resistere, lui toscano, alla tentazione di alterare o di sostituire le primitive forme idiomatiche, si può opporre che il Brugnoli non ha elementi sufficienti da avvalorarlo, mancandogli appunto i termini di confronto, cioè i codici tudertini, che soli varrebbero a fargli riconoscere sicuramente le alterazioni e le sostituzioni. Il Bonaccorsi ci dice invece, e non so perché si debba dubitarne, ch’egli preferí la lezione dei testi todini. Ai difetti di questi avrá naturalmente supplito con l’aiuto degli altri due codici umbri, e per le poesie che mss. autorevoli o la tradizione giá formatasi al suo tempo attribuivano a Iacopone, si sará giovato dei mss. toscani e toscaneggianti.
E qual metodo, se non questo appunto del Bonaccorsi, ha in sostanza seguito il prof. Brugnoli nella ricostruzione del testo delle satire? Anch’egli s’è valso di tre gruppi di codici: 1° degli umbri, tra i quali comprende anche l’edizione principe; e ad essi ha dato quasi sempre la preferenza nella scelta della lezione; 2° dei toscani; 3° dei veneti. Ma dai toscani e dai veneti non trasse profitto «se non quando poté ritenere che essi, derivando forse da qualche lontano stipite in certi passi piú fedele all’originale, fossero sfuggiti a qualche manifesto equivoco piú o meno grossolano di trascrizione, da cui vanno tutt’altro che esenti