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240 lauda xcvii


     Chi la sua bocca ha aperta, — e la lengua tagliente,
molto legiermente — deventa maldicente;
ed onne ben che fai — poco ti vale o niente,
che la tua mala lengua — tutto tel fa furare.
     Al tuo corpo misero — non déi acconsentire,
per ciò che sempre vole — manecare e dormire,
e non cura niente — giamai a Dio servire,
en ioco ed in solazo — sempremai vorría stare.
     Fallo levar per tempo — senza nulla pigrezza,
e mettilo in fatica — che non li sia agevolezza,
e vallo recessando — d’onne carnal vaghezza;
se questo non li fai, — te fará tralipare.
     Falli fare astinenza, — che non sia piú goloso;
portar li panni aspri, — che non sia piú gioioso;
ed operare buone opere — che non stia piú ozioso,
e, perché è mal servo, — délo disciplinare.
     Tu déi stare affissato, — non déi gir molto atorno,
ché nuoce de vedere — le vanitá del monno;
non portar gli occhi in alto, — ma portali in profonno,
per ciò che son ladroni — de l’anima predare.
     Quello che l’occhio vede — sí lo riporta al cuore,
el falo repensare — de lo carnale amore,
e, poi che ci ha pensato, — sí retrova el pegiore,
e perciò è buona cosa — sempre l’occhio guardare.
     Tu déi guardar l’orecchie — da li mali udimenti,
e retener le mano — dai villan toccamenti,
e déi esser ben composto — nelli tuoi portamenti,
sí che onne om che ti vede — si possa edificare.
     Tu déi stare all’offizio — molto devotamente,
e de onne adversitate déi essere paziente;
ad qualunche te domanda, — rispondi umilmente,
ed onne intenza inutile,— quanto puoi, recessare.
     Non déi essere schifo, — né molto desdegnoso,
sí com’è lo zitello — che è superbo e lagnoso;
le mano déi aver larghe — e lo core pietoso,
ed onne cosa che dái, — molto volontier dare.