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XCV

Altro cantico nel quale pur se parla de anichilazione
e trasformazione, come nella xcii lauda de sopra
posta. Ed in due stanzie de questa appare defetto.

     Que farai, morte mia, — che perderai la vita?
Guerra infinita — sirá tuo cuor demorare.
     Or que farai, morte mia, — che perderai la vita?
Se io t’aggio nutrita — io me ne pento;
e poi la morte non tornai a vita, — guerra infinita
sí t’arepresento; — però taccio ed assento,
quel che voglio non faccio — e quel che voglio desfaccio;
la lengua ne taccio — co omo obstinato.
     Non enante la morte — se trova la vita;
oimè! te vita — porríate trovare;
ma po’ la morte — se truova la vita,
ma perde la vita — cotal demorare;
elato me pare — cotal exercire,
non può pervenire — a lo infinito stato.
     Oimè! — ed io per te vo te fugendo,
parlando tazo, — lassando allazo,
dentro a la pelle — sta lo encreato.
     Oimè! la tua pelle — è tanto rotta,
che dentro non può stare; — or facciamo che sia morta,
la vita sua fori a lo scorticare — per fede te convien passare,
e desperanza trovare — del bene e del male
esser scortecato.
     Dentro a lo scortecato s’è remesso — colui che vo cercanno,
or faciam che sia quesso — voler morir per non vivere entanno;

par molto cosa dura — la morte e la vita far una,
mozzare onne figura — e non posseder nullo aspetto.