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IX
Consiglio de l’amico a l’altro amico che voglia
tornare a Dio
— O frate mio, briga de tornare — nante ch’en morte si’ pigliato.
Nante che venga la morte, — si briga de far lo patto;
ca ’l tuo ioco è ’n quella sorte — ch’è apresso a udir matto;
nante che sia ’l ioco fatto, — briga lassarlo entaulato.
— Frate, ciò che tu me dici, — te ne voglio amor portare,
ché fai co fan i bon amice — che de l’amico vol pensare;
ma ho fameglia governare — che ne so molto embrigato.
— Se tu regge la fameglia, — non la regger de l’altroi;
al poder tuo t’arsomeglia, — quegne spese far ne pòi;
non morir pro i figliol toi; — ca poco n’èi regraziato.
— Frate, se l’altrui si rendo, — giran li me’ figli mendicati;
nol posso far, tutto m’accendo — de lassargli desolati;
dai vicin serian chiamati — figli di quel desprezato.
— Frate, or pensa la sconfitta — che non aspetta el pate e ’l figlio;
e si piglia la via ritta — da mucciar da quel empiglio;
e quel ch’aspetta en quel piglio — el figlio e ’l pate è poi legato.
— Frate, avuto agio en usanza — ben vestir e ben calzare;
non porría soffrir vilanza — en questa guisa desprezare;
faríame a deto mostrare: — Ecco l’uomo mal guidato.
— Testo a l’amo s’arsimiglia — ca de for ha lo dolzore,
e lo pesce, poi che ’l piglia, — sentene poco sapore;
dentro trova un amarore — che gli è molto entossecato.
— Non porría degiun suffrire — per la mia debeletate;
menarne a lo morire — le cocin mal frumiate;
e sí per mia necessitate — voglio ciò che son usato.
Fra Iacopone. | 2 |