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lauda xci | 223 |
Sopra lo fermamento — lo qual si è stellato
d’ogne virtute ornato — e sopre al cristallino
ha fatto salimento, — puritate ha passato,
terzo ciel ha trovato, — ardor de serafino.
Lume tanto divino — non se può maculare
né per colpa abassare — né en sé sentir fetore.
Onne fede sí cessa, — ché gli è dato vedere
speranza, per tenere — colui che procacciava.
Desiderio non s’apressa — né forza de volere,
temor de permanere — ha piú che non amava.
Veder ciò che pensava — tutto era cechitate,
fame de tempestate, — simiglianza d’errore.
En quello cielo empiro — sí alto è quel che trova,
che non ne può dar prova — né con lengua narrare.
E molto piú m’amiro — como sí se renova
en fermeza sí nova, — che non può figurare.
E giá non può errare, — cadere en tenebría,
la notte è fatta día, — defetto grande amore.
Como aere dá luce, — se esso lume è fatto,
como cera desfatto — a gran foco mostrata,
en tanto sí reluce — ad quello lume tratto,
tutto perde suo atto, — volontate è passata.
La forma che gli è data — tanto sí l’ha absorto,
che vive stando morto, — è vinto ed è vittore.
Non gir chirendo en mare — vino se ’l ce mettessi,
che trovar lo potessi — che ’l mar l’ha recevuto;
e che ’l possi preservare — e pensar che restesse
ed en sé remanesse — par che non fosse suto.
L’amor sí l’ha bevuto, — la veritá mutato,
lo suo è barattato, — de sé non ha vigore.
Volendo giá non vole, — ché non ha suo volere,
e giá non può volere — se non questa belleza.
Non demanda co suole, — non vuole possedere,
ha sí dolce tenere, — nulla c’è sua forteza.
Questa sí somma alteza — en nichilo è fondata,
nichilata, formata, — messa nello Signore.