Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
lauda lxvii | 157 |
Quando me ne partíe, — se ne portai lo mio,
corno lo puoi tu dire — ch’io ne portassi el tio?
tu sai ch’ell’è sí rio, — ch’a me non è em piacere;
ergo, co lo puoi dire — che te tolesse amore?
Quando alcuna cosa — ad alcuno è prestata,
e non glie dá entrasatto, — non déi esser blasmata
se la tolle a la fiata, — essendo colui villano,
non conoscente de mano — de que gli ha prestato amore.
Tu sai molte fiate — s’io ce so albergato,
e sai con gran vergogna — sí me n’hai uor cacciato;
forse non t’è a grato — che ce deggia abitare,
facendo vituperare — sí nobilissimo amore.
— Amor, ditt’hai la scusa, — ch’ella sí può bastare
a lo mormoramento — ch’agio voluto fare;
voglio ’l capo enchinare — che ne facci venditta;
non me tener piú afflitta — de celarmete, amore.
— Vedendote pentuta,— sí ce voglio artornare,
ancor me fosse fatto — villano allecerare;
non voglio che tuo pare — facesse lamentanza
ch’io facesse fallanza — de lo legale amore.