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     En cusí vil pancelli — envolto te fe’ stare,
e forte a bisognare — che ricevissi aiuto.
O cari cenciarelli, — potendo sí fasciare
e l’alto Dio legare — co fosse destituto!
En que era involuto — sí caro e fin tesauro
sopr’onne gemma ed auro — en vil prezo e colore!:
     Co se de’ nominare — amor sí smesurato,
lo qual sí ha legato — ad sé l’Onnipotente?
Giá non se pò montare — ad grado de tal stato
amor che fosse nato — de figlio o de parente,
che prenda sí la mente, — legando onne forteza,
traendo con dolceza — fuor d’onne suo sentore.
     Ben vegio che ama figlio — lo patre per natura,
e matre con dolzura — tutto suo cuor li dona:
ma che perda consiglio,— senno, forza e valura,
questo non m’afigura — che tutto en lui lo pona;.
veggio che a sé perdona, — non volendo morire
per lui, né sofferire — tormento né dolore.
     Chi per amor trovare, — volesse perder vita,
nulla cosa gradita — ad sé piú retenere,
povertá comperare — per cara margarita,
mortale al cor ferita — per questo sostenere;
chi dona, voi vedere — de que fosse cambiato,
amando com’è amato — da lo suo amadore.
     Que dar può creatura — ad te, somma bontade,
ché tu per caritate — ad lei te se’ donato?
Tutta la sua valura — alla tua dignitate
è pegio che viltate; — dunqua, a cui te se’ dato?
Or, co sirai cambiato — de sí gran cortesia?
La nostra malsanía — puòti donar sapore?
     Or ecco che tu ce abbi, — parme, sí vil guadagno,
demanda l’auro stagno — per mostrar sua belleza;
trovar par che n’arrabbi, — e pensa qual fai cagno,
letizia dar per lagno, — per povertá richeza;
or non è gran matteza — ad sé non retenere
senno né suo volere — per comparar amore?