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LXIII

Epistola consolatoria a frate Ioanni da Fermo
ditto da la Verna per la stanzia dove anco se riposa:
transferita en vulgare la parte litterale, quale è prosa


     A fra Ianne da la Verna, — ch’en quartana se scioverna,
a lui mando questa scretta, — che da lui deggi esser letta.

Gran cosa ho reputata e reputo sapere abundare de Dio. La ragione? perché in quello è esercitata la umilitá con reverenzia. Ma grandissima cosa ho reputata e reputo sapere degiunare de Dio e patirne caristia. La ragione? perché in quello la fede è esercitata senza testimonii: la speranza senza espettazione de premio: la carità senza signi de benivolenzia. Questi fondamenti sono ne li monti santi. Per questi fondamenti ascende l’anima a quello monte coagulato, nel quale se gusta el mele de la pietra e l’olio de lo sasso durissimo.

     Vale, fra Ioanne, vale! — non t’encresca patir male.
     Fra la ’ncudene e ’l martello — sí se fa lo bel vasello;
lo vasello de’ star caldo, — perché ’l corpo venga en saldo.
     Se a freddo se battesse, — non falla che non rompesse;
se è rotto, perde l’uso — ed è gettato fra lo scuso.
     Argoméntate a clamare — che ’l Signor te degia dare
onne male e pestilenza,— ch’a questo è desplacenza.
     Malum pene è glorioso — se da colpa non è encloso;
se per colpa l’omo el pate, — non se scusan tal derrate.