Pagina:Iacopone da Todi – Le Laude, 1915 – BEIC 1853668.djvu/144

138 lauda lxi


     En quella altissima palma — o’ salisti, Francesco,
lo frutto pigliò l’alma — de Cristo crucifisso;
fusti en lui sí trasfisso, — mai non te mutasti;
co te ce trasformasti — nel corpo è miniato.
     L’amore ha questo officio, — unir dui en una forma;
Francesco nel supplicio — de Cristo lo trasforma,
emprese quella norma — de Cristo ch’avea en core,
la mostra fe’ l’amore — vestito d’un vergato.
     L’amor divino altissimo — con Cristo l’abracciòne,
l’affetto ardentissimo — sí lo cc’encorporòne,
lo cor li stemperòne — como cera a sigello,
emprimettece quello — ov’era trasformato.
     Parlar de tal figura — con la mia lengua taccio,
misteria sí oscura — d’entenderle soiaccio;
confesso che nol saccio — splicar tanta abondanza,
la smesurata amanza — de lo cuor enfocato.
Quanto fosse quel foco — non lo potem sapere;
lo corpo suo tal gioco — non potè contenere;
en cinque parte aprere — lo fece la fortura
per far demostratura — que en lui era albergato.
     Nullo trovamo santo — che tal segni portasse;
misterio sí alto, — se Dio non revelasse;
buono è che lo passe, — non ne saccio parlare,
quil el porran trattare — che l’averan gustato.
     O stimate amirate, — fabricate divine,
gran cosa demostrate — ch’a tal segni convine;
saperasse a la fine — quando sirá la giostra,
che se fará la mostra — del popolo crociato.
     O anima mia secca — che non puoi lacrimare,
currece a bever l’ésca, — questo fonte potare,
loco te enebriare; — e non te ne partire,
lássatece morire — al fonte ennamorato.