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LVIII
Epistola terzia al prefato papa da poi ch’el fo preso
O papa Bonifazio, — molt’hai iocato al mondo;
penso che giocondo — non te porrai partire.
El mondo non ha usato — lassar li suoi serventi
che a la sceverita — se partano gaudenti;
non fará legge nova — de fartene esente,
che non te dia i presente — che dona al suo servire.
Ben me lo pensava — che fusse satollato
d’esto malvascio ioco — ch’al mondo hai conversato;
ma, poi che tu salisti — en officio papato,
non s’aconfé a lo stato — essere en tal desire.
Vizio enveterato — convèrtese en natura:
de congregar le cose — grande hai avuta cura;
or non ce basta el licito — a la tua fame dura,
messo t’èi a robbatura — como ascaran rapire.
Pare che la vergogna — derieto aggi gettata,
l’alma e ’l corpo hai posto — ad levar tua casata;
omo ch’en rena mobile — fa grande edificata,
subito è ruinata — e non gli può fallire.
Como la salamandra — se renuova nel fuoco,
cusí par che gli scandali — te sian solazo e giuoco;
de l'anime redente — par che te curi puoco;
ove t’aconci el luoco, — saperálo al partire.
Se alcuno vescovello — può niente pagare,
mettegli lo flagello — che lo vogli degradare;
poi lo mandi al camorlengo — che se degia accordare,
e tanto porría dare — che ’l lasserai redire.