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LVI

Epistola a papa Bonifazio ottavo

     O papa Bonifazio, — io porto el tuo prefazio
e la maledizione — e scomunicazione.
     Colla lengua forcuta — m’hai fatta sta feruta,
che colla lengua ligni — e la piaga me stigni.
     Ché questa mia feruta — non può esser guaruta
per altra condizione — senza assoluzione.
     Per grazia te peto — che me dichi: — Absolveto —
e l’altre pene me lassi — fin ch’io del mondo passi.
     Puoi, se te vol provare — e meco esercitare,
non de questa materia, — ma d’altro modo prelia.
     Se tu sai sì schirmire — che me sacci ferire,
tengote bene esperto — se me fieri a scoperto.
     Ch’aio doi scudi a collo — e, se io non me li tollo,
per secula infinita — mai non temo ferita.
     El primo scudo sinistro, — l’altro sede al diritto;
lo sinistro scudato — lo diamante ha provato.
     Nullo ferro ci aponta, — tanto c’è dura pronta!
Questo è l’odio mio, — ionto a l’onor di Dio.
     Lo diritto scudone — d’una pietra en carbone,
ignita como fuoco — d’uno amoroso iuoco.
     Lo prossimo en amore — d’uno enfocato ardore:
se te vuoli fare enante, — puòlo provare ’nestante.
     E, quanto vol, t’abrenca, — ch’io co l’amar non venca;
volentiere te parlára, — credo che te iovára.
     Vale, vale, vale, — Dio te tolla omne male,
e dielome per grazia — ch’io ’l porto en lieta facia.
     Finisco lo trattato — en questo loco lassato.