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LIV
Epistola a Celestino papa quinto,
chiamato prima Petro da Morrone
Que farai, Pier da Morrone? — èi venuto al paragone.
Vederimo el lavorato — che en cella hai contemplato;
se ’l mondo de te è ’ngannato, — séquita maledizione.
La tua fama alt’è salita, — en molte parte n’è gita:
se te sozzi a la finita, — agl buon sirai confusione.
Como segno a sagitta, — tutto ’l mondo a te affitta;
se non tien bilanza ritta, — a Dio ne va appellazione.
Se se’ auro, ferro o rame — proveráte en esto esame;
quegn’hai filo, lana o stame — mostreráte en est’azone.
Questa corte è una fucina — che ’l buon auro se ci afina:
se llo tiene altra ramina, — torna en cenere e carbone.
Se l’officio te deletta, — nulla malsania piú è ’nfetta;
e ben è vita maledetta — perder Dio per tal boccone.
Grande ho aúto en te cordoglio — co te uscío de bocca: — Voglio; —
ché t’hai posto iogo en coglio — che t’è tua dannazione.
Quando l’uomo virtuoso — è posto en luoco tempestoso,
sempre el trovi vigoroso — a portar ritto el gonfalone.
Grand’è la tua degnitate, — non è meno la tempestate;
grand’è la varietate — che troverai en tua magione.
Se non hai amor paterno, — lo mondo non girá obedenno;
ch’amor bastardo non è denno — d’aver tal prelazione.
Amor bastardo ha ’l pagamento — de sotto dal fermamento;
ché ’l suo falso entendemento — de sopre ha fatto sbandegione.
L’ordene cardenalato — posto è en basso stato;
ciaschedun suo parentato — d’ariccar ha entenzione.
Guardate dagl prebendate — che sempre i trovera’ afamate;
e tant’è la lor siccitate, — che non ne va per potagione.
Guárdate dagl barattere — che ’l ner per bianco fon vedere;
se non te sai ben schirmere — canterai mala canzone.