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LIII
Del pianto de la chiesa redutta a mal stato
Piange la Ecclesia, piange e dolura,
sente tortura di pessimo stato.
— O nobilissima mamma, que piagni?
mostri che senti dolur molto magni:
narrarne ’l modo perché tanto lagni,
ché sí duro pianto fai smesurato.
— Figlio, io sí piango ché m’aggio anvito;
veggiome morto pate e marito;
figli, fratelli, nepoti ho smarrito,
omne mio amico è preso e legato.
So circundata da figli bastardi,
en omne mia pugna se mostran codardi,
li mei legitimi spade né dardi
lo lor coragio non era mutato.
Li mei legitimi era en concorda,
veggio i bastardi pien de discorda,
la gente enfedele me chiama la lorda
per lo reo exemplo ch’i’ ho seminato.
Veggio esbandita la povertate,
nullo è che curi se non degnetate;
li mei legitimi en asperitate,
tutto lo mondo gli fo conculcato.
Auro ed argento on rebandito,
fatt’on nemici con lor gran convito,
omne buon uso da loro è fugito,
donde el mio pianto con grande eiulato.