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LII
Como Cristo se lamenta de la Chiesa romana
Iesú Cristo se lamenta — de la Chiesa romana,
che gli è engrata e villana — de l’amor che gli ha portato.
— Da poi ch’io presi carne — de la umana natura,
sostenni passione — con una morte dura;
desponsai la Ecclesia — fidelissima e pura,
puse en lei mia cura — d’un amore apicciato.
Gli mei pover discipoli — per lo mondo mandai,
de lo Spirito santo — lor coragio enflammai,
la fede mia santissima — per lor sí semenai,
molti segni mostrai — per l’universo stato.
Vedendo el mondo cieco — tanti segni mostrare,
a omini idioti — tanto saper parlare,
fuor presi d’amiranza, — credere e battizare,
essi quegl segni fare — onde será amirato.
Levossi l’idolatria — col suo pessimo errore,
puose en arte magica — li signi dei Signore,
accecò gli populi; — rege, emperadore
occisero a dolore — omnle messo mandato.
Tanto era lo fervore — de la primera fede,
occidendone uno, — mille lassava erede;
stancava li carnifici — de farne tanta cede,
martirizata fede — vicque per adurato.
Levosse la eresia — e fece gran semblaglia,
contra la veritate — fece gran battaglia,
sofisticato vero — sua seminò zizaglia,
non fo senza travaglia — cotal ponto passato.