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III

Contenzione infra l’anima e corpo

     Audite una ’ntenzone — ch’è 'nfra l’anima e ’l corpo;
battaglia dura troppo — fin a lo consumare.
     L’anima dice al corpo: — Facciamo penitenza,
ché possiamo fugire — quella grave sentenza
     e guadagnar la gloria — ch’è de tanta piacenza;
portimo onne gravenza — con delettoso amare. —
     Lo corpo dice: — Turbome — d’esto che t’odo dire;
nutrito so ’n delicii, — nollo porría patire;
lo celebr’aio debele, — porría tost’empazire:
fugi cotal pensiere, — mai non me ne parlare.
     — Sozo, malvascio corpo, — lussurioso, engordo!
ad omne mia salute — sempre te trovo sordo;
sostieni lo flagello — d’esto nodoso cordo,
emprende sto discordo — ché t’è ci opo danzare!
     — Succurrite, vicini,— ché l’anima m’ha morto!
alliso, ensanguenato, — disciplinato a torto!
o impia, crudele, — ed ad que m’hai redotto?
starò sempr’en corrotto, — non me porrò allegrare.
     — Questa morte sí breve — non mi siría ’n talento.
Somme deliberata — de farte far spermento;
dagl cinque sensi tollere — omne delettamento,
e nullo piacemento — t’agio voglia de dare.
     — Si da li sensi tollime — li mei delettamenti,
siragio enfiato e tristo, — pieno d’encrescementi;
torrotte la letizia — nelli tuoi pensamenti;
megli’è che mo te penti — che de farlo provare.