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La morte di questo, tre anni dopo, la sciagura della figlia, la miseria sopravvenuta di nuovo, quasi non avevano avuto potere di scuoterla da un dolore più cupo e profondo, in cui era caduta. Il figlio, il figlio da cui tanto s’aspettava, il suo Roberto, là, fra il trambusto violento della nuova vita nella terza Capitale, tra la baraonda oscena dei tanti che vi s’abbaruffavano reclamando compensi, carpendo onori e favori, il suo Roberto s’era perduto! Stimando semplicemente dovere sacro quanto aveva fatto per la patria, non aveva voluto nè saputo accampate alcun diritto a compensi; aveva forse sperato e atteso che gli amici, i compagni, si fossero ricordati di lui dignitoso e modesto. Poi forse lo schifo lo aveva vinto e tratto in disparte.
E qual rovinìo era sopravvenuto in Sicilia di tutte le illusioni, di tutta la fervida fede, onde s’era accesa alla rivolta! Povera isola, trattata come terra di conquista! Poveri isolani, trattati come barbari, che bisognava incivilire! Ed eran calati i Continentali a incivilirli: calate le soldatesche nuove, quella colonna infame comandata da un rinnegato, dall’ungherese colonnello Eberhardt venuto per la prima volta in Sicilia con Garibaldi e poi tra i fucilatori di Lui ad Aspromonte, e quell’altro tenentino savojardo Dupuy, l’incendiatore; calati tutti gli scarti della burocrazia; e liti e duelli e scene selvagge; e la Prefettura del Medici, e i tribunali militari, e i furti, gli assassinii, le grassazioni, orditi ed eseguiti dalla nuova polizia in nome del Real Governo; e falsificazioni e sottrazioni di documenti e processi politici ignominiosi: tutto il primo governo della Destra parlamentare! E poi era venuta la Sinistra al potere, e aveva cominciato anch’essa con provvedimenti eccezionali per la Sicilia; e usurpazioni