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S’era rialzata per poco da quell’orribile avvilimento al ritorno di Roberto, accolto da tutto il paese quasi in delirio. Ancora, ricordando quel giorno quel momento, le sue misere carni eran corse da brividi. Ah con quale esultanza, con che spasimo d’amore e di dolore s’era serrato al seno il figliuolo, che ritornava solo, senza il padre, l’eroe giovinetto dalla camicia rossa, che il popolo le aveva recato su le braccia in trionfo!

Il Governo provvisorio le aveva accordato un sussidio mensile, e a Roberto — non potendo altro, per l’età — aveva accordato una borsa di studio in Palermo. L’aveva perduta pochi anni dopo, questa borsa, Roberto per seguire Garibaldi alla conquista di Roma. Ma al torrente di sangue giovanile che avrebbe ristorato le vene esauste di Roma, la ragion di Stato aveva opposto, ad Aspromonte, un argine di petti fraterni; e Roberto, con gli altri, era stato preso e imprigionato, prima alla Spezia, poi al forte Monteratti a Genova. Liberato, aveva ripreso gli studii, per poco. Nel 1866, dietro a Garibaldi di nuovo. Solo nel 1871, gli era venuto fatto di laurearsi in legge; e subito era andato a Roma per provvedere, dopo tante vicende tumultuose, alla propria esistenza e a quella de’ suoi. Qualche anno dopo, lo aveva raggiunto il fratello Giulio. Anna, a Girgenti, aveva già trovato marito, e donna Caterina — aspettando che Roberto a Roma con la fiamma dell’anima eroica, con le benenerenze sue non comuni e il non comune ingegno si facesse largo e si preparasse un avvenire splendido, degno del suo passato, e la consolasse in fine di tutte le amarezze patite e dell’avvilimento, per cui maggiormente aveva sofferto — era andata a vivere in casa del genero Michele Del Re.