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fettuerà il matrimonio per espressa volontà del Laurentano. Ora queste condizioni, secondo che io ho disegnato, dovrebbero diventare il punto.... come diremo? vulnerabile del Salvo.
— Il tallone d’Achille, — suggerì il Mattina, scotendosi.
— Benissimo! d’Achille! — approvò l’Agrò. — E mi spiego. Preme al Salvo certamente, avendole accettate, che il figlio del principe, residente a Roma (mi par che si chiami Gerlando, eh? come il nonno: Gerlandino, Landino) non sia, o almeno, non si mostri apertamente contrario a questo matrimonio del padre. Anzi so che il Salvo ha posto come patto imprescindibile la presenza del giovine alla cerimonia nuziale, per il riconoscimento del vincolo da parte sua e come impegno da gentiluomo per l’avvenire. Io non conosco codesto Gerlandino, ma so che è di pelo.... cioè, diciamo, di stampa ben altra dal padre.
— Opposta! — esclamò il Verònica. — Io lo conosco bene.
— Oh bravo! — soggiunse l’Agrò. — Egli dunque, ammesso pure che non abbia neanche le ideo di Roberto Auriti, tra i due, voglio dire tra questo e un Capolino, dovrebbe aver più cara, m’immagino, la vittoria del parente.
Guido Verònica, a questo punto, si scosse e sospirò a lungo, come per vôtarsi dall’illusione accolta per un momento, e disse:
— Ah, no, non credo, sa! non credo proprio che Lando s’impicci di codeste cose....
— Mi lasci dire, — riprese il Canonico, con voce agretta.... — A me non cale ch’ei se ne impicci: vorrei solamente sapere da Lei che è stato tanto tempo a Roma e conosce il giovine, se l’antagonismo, diciamo così, tra don Ippolito Laurentano e