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Si turbò in volto; restò un momento perplesso, se dire o non dire; poi, come attaccando una coda al sospiro rimasto in tronco:
— La gratitudine, un mito!
Tentennò il capo, e riprese:
— Sarebbero comodi lor signori di venire un momentino con me?
— Dove? — domandò il Mattina.
— In casa di Roberto Auriti.... tanto amico mio, tanto.... fin dall’infanzia, lo sanno. E i nostri padri? Amicissimi; oh! più che fratelli. Compagni d’arme, eh? Il padre di Roberto, a Milazzo; mio padre cadde al Volturno. Storia, questa. Se ne dovrebbe tener conto in paese, invece di menare tanto scalpore per la mia.... come la chiamano? diserzione.... eh? diserzione. La veste! Sissignori. Ma sotto la veste c’è pure un cuore; e ce l’ho anch’io per la santa amicizia, e anche.... e anche....
Il Canonico voleva aggiungere “per la patria„; lo lasciò intendere col gesto e pose un freno alla foga del sentimento generoso.
Egli si sforzava di parlar dipinto, con un risolino arguto su le labbra, strofinandosi di continuo le mani secche, ossuto, sotto il mento, come se le lavasse alla fontanella delle sue frasi polite, sì, non però fluenti limpide e continue, ma quasi a sbruffi, esitanti spesso e con curiosi arresti. Di tratto in tratto, nel sollevar le pàlpebre stanche, lasciava intravvedere qualche obliquo sguardo fuggevole, così diverso dell’ordinario, che subito ciascuno immaginava dovesse quell’uomo, nell’intimità, solo con sè stesso, non esser quale appariva, aver più d’una afflizione profondamente segreta, che lo rendeva astuto e cattivo, e travagli d’animo oscuri.
— Prima d’andare, — riprese, cangiando tono, —