Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 76 — |
cola congiura che il canonico Agrò pareva volesse ordire.
Il Mattina si mosse su la poltrona, sbuffando e prendendo un’altra positura.
— Si fa aspettare.... — disse.
— Chi c’è di là? — domandò Guido Verònica, senz’ombra d’impazienza.
Il Mattina si protese e disse sottovoce:
— Préola figlio, la lancia spezzata d’Ignazio Capolino. L’ho saputo dal cameriere. Che te ne pare? Domando e dico, che cosa stiamo a fare qua, noi due?
— Sentiremo.... — sospirò il Verònica.
— Non vorrei che....
Il Mattina s’interruppe, vedendo aprir l’uscio ed entrare, lungo e curvo su la sua magrezza, il canonico Pompeo Agrò.
Io porto il gamellino.
Facendo cenno con ambo le mani ai due ospiti di rimaner seduti, Pompeo Agrò disse con vocetta arguta e stridente:
— Chiedo vènia.... Stieno, stieno, prego. Caro Verònica; cavaliere esimio. Qua, cavaliere, segga qua, accanto a me: io, sa bene, non ho paura de’ suoi peccatucci di gioventù.
— Sì, gioventù! — sorrise il Mattina, mostrando il capo grigio.
Il canonico trasse dal petto un vecchio orologino d’argento.
— Il pelo, eh.... si cangia il pelo, lei m’insegna, e non il vizio. Già le dieci, perbacco! Ho perduto molto tempo.... Mah!