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— E cavaliere per giunta?
— Per me, — protestò il vecchio inchinandosi profondamente con la mano al petto, — tutti i padroni miei, cavalieri!
E, andandosene su i piedi sbiechi, lesse sottecchi, sul biglietto da visita: Cav. Gian Battista Mattina.
— (Costui, — dunque, — cavaliere autentico, pare.)
Il Mattina rimase in piedi, cogitabondo, in mezzo al salone; poi scrollò le spalle, seccato; volse uno sguardo distratto in giro; vide uno specchio alla parete di fronte e vi s’appressò.
In quel vasto specchio, dalla luce tetra, la propria immagine gli apparve come uno spettro; e ne provò un momentaneo turbamento indefinito.
Spirava da tutti i mobili, dal tappeto, dalle tende, quel tanfo speciale delle cose antiche, appassite nell’abbandono; quasi il respiro d’un altro tempo.
Il Mattina si guardò di nuovo attorno con una strana costernazione per la immobilità silenziosa di quei vecchi oggetti, chi sa da quanti anni lì senz’uso, senza vita. Si accostò di più allo specchio per scrutarsi davvicino, movendo pian piano la testa, stirandosi fin sotto gli occhi stanchi, profondamente cerchiati, le punte dei folti baffi conservati neri da una mistura, in contrasto coi capelli precocemente grigi, che conferivano cotal serietà al suo volto bruno. A un tratto, un lunghissimo sbadiglio gli fece spalancare e storcere la bocca, e, all’emissione del fiato, contrasse il volto in un’espressione di nausea e di tedio. Stava per scostarsi dallo specchio, allorchè sul piano della mensola, chinando gli occhi, scorse qua e là tanti bei mucchietti di tarlatura, disposti quasi con arte, e si chinò a mirarli con curiosità. Avevano lavorato bene quelle tarme! E nessuno, intanto, pareva tenesse in debito conto la lor fatica.... Eppure,