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— E non c’è don Mauro? — domandò il Préola. — Ho paura.... — aggiunse ridendo. — Mi sparò, or è l’anno.... Dice che venivo qua, nel fèudo, a caccia de’ suoi colombi. Parola d’onore, si-don Cosmo, non è vero! Per le tortore venivo. Forse, qualche volta, non dico, avrò sbagliato. Tiro e, botta e risposta, mi sento arrivare.... Fortuna che mi voltai subito. Pum! Nelle natiche, una grandinata.... Privo di Dio, le giuro, si-don Co’, che se non era per il rispetto alla famiglia Laurentano.... La doppietta ce l’avevo anch’io e, parola d’onore....

Dal fondo del viale giunse in quella un romor di sonaglioli. I tre, che s’erano accostati a la villa, conversando, si voltarono a guardare. Capolino chiamò:

— Ninì! Ninì! Ecco le vetture! Arrivano!

Ninì s’affrettò a scendere da la villa; ne scesero anche i servi, donna Sara Alàimo e la cameriera. già amiche tra loro.

Erano due vittorie. Nella prima stava don Flaminio con la figliuola; nella seconda, la demente con due infermiere. Don Cosmo si aspettava di veder smontare da una delle vetture anche donna Adelaide, la sposa: restò disilluso. Ninì De Vincentis non ebbe il coraggio di farsi avanti a offrire il braccio a Dianella. Col cuore tremante e la vista annebbiata dalla commozione, le intravide il volto affilato, pallidissimo, sotto la spessa veletta verde da viaggio, e la seguì con lo sguardo, mentre, appoggiata al braccio di Capolino, tutta avvolta in una pesante mantiglia, saliva pian piano la scala, come una vecchina, tra gli augurii ossequiosi di donna Sara Alàimo.

Donna Vittoria, smontata faticosamente per la enorme pinguedine, restò tra le due infermiere con gli occhi immobili, vani, nell’ampio volto pallido, in-