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— Me n’è scappata qualcuna grossa? — domandò.

— Scusate. Non parlo più neanche io.

Ninì viveva veramente in cielo, in un cielo illuminato da un suo sole particolare, lì lì per sorgere, non sorto ancora, e che forse non sarebbe sorto mai. Lo lasciava lì, dietro le montagne dure della realtà, e preferiva rimanere nel lume rocco e vano d’una perpetua aurora, perchè il suo sole, sorgendo, non dovesse poi tramontare, e perchè le ombre, inevitabili, rimanessero tenui e quasi diafane. Già gli s’era affacciato il dubbio, che il Salvo, ormai, non avrebbe accolto bene la sua richiesta di nozze, dato ch’egli si fosse spinto a fargliela. Ma aveva sempre rifuggito dall’accogliere e dal ponderare questo dubbio, per non turbare il purissimo sogno di tutta la sua vita. E non perchè quel dubbio gliel’avesse impedito, ma perchè veramente gli mancava il coraggio di tradurre in atto un ideale così altamente vagheggiato, che quasi temeva si potesse guastare al minimo tocco della realtà, non s’era mai risoluto, non che a fare la richiesta, ma nemmeno a dichiararsi apertamente con Dianella Salvo. Ora, il sospetto che egli potesse farlo per la dote della ragazza, che avrebbe rimesso in sesto le sue finanze, gli cagionò un acutissimo cordoglio, gli avvelenò la gioja di quel servigio reso per amore, e che invece poteva parere interessato; e, come se tutt’a lui tratto il suo sole avesse dato un tracollo, tutto improvvisamente gli s’oscurò, e quando le stanze furon messe in ordine, ed egli, con la gola stretta d’angoscia fece un ultimo giro d’ispezione, non seppe posare, come s’era proposto, sul guanciale del letto di Dianella il bacio dell’arrivo, perchè ella, senza saperlo, ve lo trovasse, la sera, andando a dormire.