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mitiva si spiccava dai tetti e andava a sollecitarlo dietro la porta della nota camera a pianterreno: la comitiva a poco a poco diventava folla e in breve tutta la spianata ferveva d’ali e grugava, mentre per aria tant’altri si tenevan su le ali sospesi a stento, non sapendo dove posarsi.

— Stupendo, stupendo spettacolo! — non rifiniva d’esclamare Capolino.

Sì, e il solo a cui don Cosmo provasse qualche piacere. Udendo il turbine fragoroso di tutte quelle ali, si levava ogni volta dal tavolino e andava ad affacciarsi al balcone. Del resto, era il sogno del pasto anche per lui. Sparsa in tondo a più ripreso e votata la cesta dello cicerchie su i colombi. Mauro veniva su, e tutti o due si mettevano a tavola.

Don Cosmo pensò con dispiacere che quel giorno, intanto, Mauro non sarebbe salito; gliel’aveva detto la sera avanti:

— Quest’è l’ultima volta che mangio con voi. Perchè mi farete la grazia di credere, che non verrò a sedermi a tavola con Flaminio Salvo.

Ora, giù su la spianata, se ne stava tra i suoi colombi a testa bassa, aggrondato. Capolino l’osservava dal balcone, come se avesse sotto gli occhi una bestia rara.

— Lo saluto? — domandò piano a don Cosmo. Questi con la mano gli fe’ cenno di no.

— Orso, è vero? — soggiunse Capolino. — Ma un gran bel tipo!

— Orso, — ripetè don Cosmo, ritraendosi dai balcone.