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— Soffiate, rùzzola tutto; soffiate, e tutti questi castellacci che pajono montagne, crollano, perchè dentro non c’è niente: il vuoto, signor mio; tanto più opprimente, quanto più alto e solenne l’edifizio: il vuoto e il silenzio del mistero....

Capolino s’era tutto raccolto in sè, per raccapezzarsi, incitato dalla passione con cui don Cosmo parlava, a rispondere, a rintuzzare; e aspettava, sospeso, una pausa; avvenuta, proruppe:

— Però....

— No, niente! Lasciamo stare! — troncò subito don Cosmo, posandogli una mano su la spalla. — Minchionerie, caro avvocato!

Per fortuna, in quella, Mauro Mortara giù, su la spianata innanzi a la villa, dalla parte che guardava la vigna e il mare, si mise a chiamare col suo solito verso — pïo, pïo, pïo — gl’innumerevoli colombi, a cui soleva dare il pasto due volte al giorno.

Don Cosmo e Capolino s’affacciarono al balcone. Anche Ninì si sporse a guardare dalla ringhiera dell’ultimo balcone in fondo, e poi dal terrazzo s’affacciarono i servi e le cameriere e i tappezzieri.

Era ogni volta, tra quel candido fermento d’ali, una zuffa terribile, giacchè la razione delle cicerchie era rimasta da tempo la stessa, mentre i colombi si erano moltiplicati all’infinito e vivevano, ormai, quasi in istato selvaggio, per il fèudo e per tutte le contrade vicine. Essi però sapevano l’ora dei pasti e accorrevano puntuali, a fitti nugoli fruscianti, da ogni parte: invadevano, tubando d’impazienza, in gran subbuglio, i tetti de la villa, de la casa rustica, del pagliajo, del colombajo, del granajo, del palmento e della cantina; e se Mauro tardava un po’, dimentico o assorto nelle sue memorie, una numerosa co-