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— Ah bene bene bene, — approvò Capolino. — E dunque abbiamo anche un camerone?
Don Cosmo sorrise, negando col capo; poi spiegò che cosa era il “camerone„, e come ridotto e da chi custodito.
— Per amor di Dio! — esclamò Capolino.
— Sarebbe meglio perciò, — concluse don Cosmo, — che disponeste l’abitazione nel quartiere di là, libero del tutto. Io m’ero scelta apposta questa camera....
Capolino approvò di nuovo; e, poichè i servi eran già venuti su col primo carico, s’avviò con Ninì per l’altro quartiere. Don Cosmo rimase in quella camera, dove con l’ajuto di donna Sara trasportò tutti i suoi libracci. La povera casiera, sentendo quanto pesava tutta quella erudizione, non riusciva a capacitarsi come mai don Cosmo, che se l’era messa in corpo, potesse vivere intanto su le nuvole. Don Cosmo, ancora con le nari arricciate, non riusciva a capacitarsi, invece, perchè quella mattina ci fosse tutto quel puzzo d’umido. Ma forse non distingueva bene tra il puzzo e il fastidio che gli veniva dal pensare, che or ora, per l’arrivo degli ospiti, tutte le sue antiche, stanche abitudini sarebbero frastornate, e chi sa per quanto tempo!
Di lì a poco, Capolino ritornò, lasciando solo di là il De Vincentis, che s’era dimostrato molto più adatto di lui alla bisogna: così almeno dichiarò. In verità, veniva per porre a effetto una delle ragioni per cui si era volentieri accollato l’incarico del Salvo: quella cioè di scoprir l’umore di don Cosmo circa al matrimonio del fratello, o di “tastargli il polso„ su quell’argomento, com’egli diceva tra sè.
Non già che sperasse, che ormai quelle nozze potessero andare a monte; ma, conoscendo la diversità,