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lente, che a Valsanìa sul mare egli non avrebbe potuto recarsi a vederla se non di rado. Si confortava per il momento col pensiero che avrebbe sorvegliato lui alla preparazione della camera, del nido che la avrebbe accolta per qualche mese.

Come se Capolino avesse letto il pensiero del suo giovane amico, di cui facilmente e da un pezzo aveva indovinato l’ingenua aspirazione, suggellò, dopo la risata, con un basta! il primo discorso, e riprese, fregandosi le mani:

— Tra poco saremo arrivati. Tu attenderai alla camera di Dianuccia, eh? Sarà meglio. Io penserò per donna Vittoriona.

Ninì, confuso, soprappreso così, mostrò una viva costernazione per quest’ultima, ch’era la moglie del Salvo, pazza da molti anni.

— Si sì, — disse, — bisogna star bene attenti, che questo cambiamento. Dio liberi, non la turbi troppo....

— Non c’è pericolo! — lo interruppe Capolino. — Vedrai che non se n’accorgerà neppure. Seguiterà tranquillamente la sua interminabile calza, già lunga un miglio, dicitur. Fa le calze al Padreterno, sai? Notte e giorno.... E vuole che lavorino con lei anche le due suore di San Vincenzo che l’assistono....

Ninì crollò il capo mestamente.

La vettura, poco oltre la Seta, entrò nel fèudo, dallo stradone. Il cancello era rovinato: una sola banda, tutta arrugginita, era in piedi, fissa a un pilastro; l’altro pilastro era da gran tempo diroccato. La strada carrozzabile, che attraversava quest’altra parte del fèudo, ceduta anch’essa a mezzadria, era come tutto il resto in abbandono, irta di cespugli, tra i quali si vedevano i solchi lasciati di recente dai carri con la suppellettile.