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don Flaminio, così egli non s’era mai accorto, prima, del vano ostinato assedio di Capolino a donna Adelaide, nè credeva ora minimamente alle chiacchiere maligne sul conto di quella cara signora Nicoletta, nuova moglie di Capolino.

Ninì De Vincentis non sapeva scoprire secondi fini in nessuno; e l’idea del denaro poi non gli sarebbe mai balenata in monte. Era, su questo punto, come un cieco. Da parecchi anni, infatti, dopo la morte dei genitori, egli si lasciava spogliare, insieme col fratello maggiore Vincente, da un amministratore ladro, chiamato don Jaco Pacia, il quale aveva saputo arruffar così bene la matassa degli affari, che il povero Ninì, avendogliene tempo addietro domandato conto, per poco non ne aveva avuto il capogiro. E s’era dovuto recare una prima volta al banco del Salvo per un prestito di denaro su cambiali. Parecchie altro volte era poi dovuto ritornare allo stesso banco; e, alla fine, per consiglio dell’amministratore, aveva fatto al Salvo la proposta di saldare il debito con la cessione della magnifica tenuta di Primosole, proposta che il Salvo aveva subito accettata, acquistandosi anche l’eterna gratitudine di Ninì, al quale naturalmente non era passato neppure per il capo il sospetto d’un accordo segreto tra il Pacia, suo amministratore, e il banchiere. Egli amava Dianella Salvo e in don Flaminio non sapeva vedere che il padre di lei.

Ora avrebbe tanto desiderato che la fanciulla, scampata per miracolo a un’infezione tifoidea, fosse andata a recuperar la salute a Primosole, nell’antica villa di sua madre, dove tutto le avrebbe parlato di lui, con la mesta, amorosa dolcezza dei ricordi materni. Ma i medici avevano consigliato al Salvo per la figliuola aria di mare. E Ninì pensava, do-