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occhi il galoppo di capitan Sciaralla fino alla svoltata del viale; poi, il ritorno ringhioso e sbuffante dei tre mastini, dopo la vana corsa e il vano abbajare. Quando le tre bestie alla fine si buttarono di nuovo a terra, presso la scala, e allungarono il muso su le zampe anteriori, e chiusero gli occhi per rimettersi a dormire, egli, mirandole, scrollò lievemente il capo, e sorrise udendo nel silenzio vicino una di esse sospirare profondamente. Innanzi a questo loro ricomporsi al sonno e a questo sospiro, non gli sembraron più vani nè l’abbajare nè la corsa di poc’anzi. Ecco: le tre bestie avevano protestato contro la venuta di quell’uomo, il quale aveva loro interrotto il sonno; ora che credevano di averlo cacciato via, tornavano saggiamente a dormire.

— Perchè è saggezza del cane, — pensò, sospirando a sua volta profondamente, don Cosmo, — quand’abbia mangiato e atteso agli altri bisogni del corpo, lasciare che il tempo gli passi dormendo.

Guardò gli alberi, innanzi a la villa: gli parvero anch’essi assorti in un sogno senza fine, da cui invano la luce del giorno, invano l’aria, smovendo loro le frondi, tentassero di scuoterli. Da un pezzo ormai, nel fruscìo lungo e lieve delle frondi al vento, egli sentiva, come da un’infinita lontananza, la vanità di tutto e il tedio angoscioso della vita.