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avesse obbedito al Préola. Pensava che a quell’ora il Principe a Colimbètra s’era forse levato e domandava al segretario quella risposta. E lui, ecco, era ancora là, ad aspettarla! Ma ci voleva tanto a legger la lettera e a buttar giù due righi di risposta? O che il Mortara, a bella posta, non l’avesse ancora data a don Cosmo?
E capitan Sciaralla sbuffava; se la prendeva, ora, con Titina, che non stava ferma un momento, tormentata dalle mosche.
— Quieta! Quieta! Quieta!
Tre strattoni di briglia. Titina chiuse gli occhi lagrimosi con tanta pena rassegnata, che Sciaralla subito si pentì dello sgarbo.
— Hai ragione, poveretta! Non hanno dato neanche a te una manata di paglia....
E lasciò andare un lungo sospirone.
Finalmente don Cosmo s’affacciò a una finestra de la villa. Al rumore delle imposte, Sciaralla si voltò di scatto. Ma don Cosmo si mostrò meravigliato di vederlo ancora lì.
— Oh, Placido! E che fai?
— Ma come. Eccellenza! la risposta! — gemette il Capitano, giungendo le mani.
Don Cosmo aggrottò le ciglia.
— C’è bisogno della risposta?
— Come! — ripetè Sciaralla, esasperato. — So sto qui da un’ora ad aspettarla!
Ecco, ecco appunto! Quel vecchio boja non glien’aveva detto nulla!
— Hai ragione, sì, aspetta, figliuolo, — gli disse don Cosmo, ritirandosi dalla finestra.
Pensò che il fratello stava attento anche alle minime formalità (minchionerie, le chiamava lui), e che avrebbe considerato come un affronto o un