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Mauro non la poteva soffrire. E donna Sara in questo lo contraccambiava cordialmente; anzi nulla le riusciva più penoso che il dovere apparecchiar la tavola anche per lui, poichè don Cosmo pur troppo s’era ridotto fino a tal punto, fino a dar quest’onore a un figlio di contadini e quasi contadino zappaterra anche lui; sissignori.... mentre lei, donna Sara, vera signora di nascita e d’educazione, lì, in cucina, lei, e obbligata a servirlo!

S’affacciò alla finestra e, vedendo giù Capitan Sciaralla, emise un profondo sospiro con un breve lamento nella gola:

— Ah, Placidino, Placidino! Offriamolo al Signore in penitenza dei nostri peccati....

Intanto Mauro era entrato nello stanzino da bagno di don Cosmo.

Tutto era vecchio e rustico in quell’antica villa abbandonata: fessi e sbocconcellati i rozzi mattoni di terracotta; le pareti e i soffitti, anneriti; le imposte e i mobili, stinti e corrosi; e tatto era impregnato come d’un tanfo di granaglie secche, di paglia bruciata, d’erbe appassite nell’afa delle terre assolate.

Nello stanzino da bagno, don Cosmo, in mutande a maglia, nudo il torso peloso, nudi i piedi nelle vecchie ciabatte, si preparava alla consueta abluzione, con una dozzina di spugne, grandi e piccole, disposte sul lavabo. Si lavava tutto, ogni mattina, anche d’inverno, con l’acqua diaccia; e questa era l’unica delizia della sua vita: solennissima pazzia, invece, per Mauro che, sì e no, ogni mattina si lavava “la semplice maschera„, com’egli diceva, per significare la sola faccia.

— Avete dormito di nuovo con la porta aperta?

— Sì? — fece don Cosmo, come ne fosse stupito;