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propria libertà, nè Roberto avrebbe saputo sciogliersi dalla schiavitù di quella donna. Anche lei, poi, all’età sua, non avrebbe potuto resistere a un cambiamento così radicale di vita e d’abitudini.

— Sogni! sogni! Quand’io morrò, e Nino sarà cresciuto, tu andrai con lui.... Ci penserà lui a farti una nuova vita.

— Ma intanto!... — sospirava Anna, e guardava nell’altra stanza il figliuolo, che ascoltava i discorsi della nonna e dello zio, con una mano tra i capelli, un gomito su la tavola, sotto la lampada che pendeva dal soffitto.

Egli non dimostrava nè alcuna pena d’allontanarsi da lei per circa un anno, nè alcuna gioja di recarsi a Roma.

Sempre così!

Una volta sola, su i primi dello scorso anno, infatuato di una scoperta che credeva d’aver fatto, d’un suo speciale congegno per trarre — diceva — l’energia elettrica dalle onde del mare (era venuto, quell’anno, all’Istituto tecnico un bravo professore di fisica, il quale era riuscito a infervorare, per la sua scienza, tutti gli scolari) egli le aveva parlato con vero calore, per indurla a spingere la nonna a chiedere in prestito qualche migliajo di lire, — non allo Zio Borbonico, no! — ma allo zio Cosmo, magari: un migliajo di lire in prestito, per costruire alla meglio gli attrezzi necessarii agli esperimenti ch’egli si sarebbe recato a far lì, a Valsanìa, su la spiaggia.

Povero figliuolo! Gli aveva fatto cascar le braccia, subito. La nonna? chieder denaro in prestito ai fratelli? E non la conosceva?

S’era subito rinchiuso nel suo ispido silenzio, e non aveva voluto darle nemmeno una spiegazione