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e non avrebbe più pensato di diventar padrone, anche se Dianella Salvo gli avesse fatto intendere apertamente il suo amore. Schiavo, schiavo con lei!

Era veramente com’ebro Aurelio Costa, avvampato in volto da una gioja riconoscente verso quella donna, quando, a sera tarda, lasciò Colimbètra.

Non sapeva che pensare. Il sangue gli frizzava per le vene, le orecchie quasi gli rombavano. Era ella così, per abito o per natura, lusinghiera con tutti, per lui unicamente aveva formato quei sorrisi e trovato quegli sguardi e quelle premure? Doveva dubitarne o esserne certo? E se esorto, perchè quella donna s’era indotta così d’improvviso a tentarlo, a provocarlo, ad amarlo, dopo avere opposto, anni fa, un reciso e sdegnoso rifiuto all’onesta domanda di lui? Se n’era pentita? Stanca, nauseata della parte infame che le aveva assegnato il marito, voleva ribellarsi e vendicarsi, scegliendo per la vendetta chi onestamente, un giorno, aveva voluto farla sua, maltrattato da lei e forse deriso? Voleva ora dargli questa rivincita sopra colui per il quale ella lo aveva allora rifiutato? voleva tendergli un’insidia?

Questo sospetto, per quanto gli paresse crudo e indegno in quel momento, gli s’era pure insinuato tra le varie ondeggianti supposizioni. Egli non poteva aver molta stima di lei.

Ma quale insidia? Innamorarlo, fargli perdere la testa, fino al punto di suscitar la gelosia di Flaminio Salvo, farlo cacciar via da questo? Ma non le aveva egli detto che nessuna perdita sarebbe stata per lui, ormai, lasciare il Salvo? E poi, qual interesse avrebbe avuto ella ad allontanarlo? che ombra le dava? Le ricordava, nella miseria presente, il passato? Ma se lei stessa, stringendogli forte, segreta-