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felici gli ultimi anni di quell’altero e bellissimo vecchio, ancora così vegeto e fresco!
Indovinava in lui l’amarissimo disinganno provato alla vista della futura sposa; ma intuiva che nessun’arte di seduzione sarebbe valsa su quell’uomo, il quale della fedeltà alla parola data s’era fatta quasi una religione. Neppur l’ombra della civetteria, dunque, in lei, ma una gara di cortesie e di compitezze con lui, in quei giorni, senza la minima affettazione. E che prediche a quattr’occhi allo zio Salesio, il quale non voleva capire che non c’era più alcuna ragione, proprio, perchè egli si trattenesse ancora a Colimbètra. Sapeva star bene a posto, sì, — troppo bene, anzi — zio Salesio; ma.... ma.... ma....
E del suo sogno inattuabile, della nostalgia della bontà, dell’incubo che le cagionava la vista del patrigno così compito e ridicolo, della nausea che in quel momento le dava la sua lunga odiosa finzione d’affetto per quel marito, per quel degno compagno della parte peggiore di sè, Nicoletta si vendicava tormentando Ninì De Vincentis, segnatamente la sera, là sul terrazzo marmoreo, aggettato su le colonne del vestibolo esterno, parlandogli di Dianella Salvo.
Lo straziava quasi con voluttà, conoscendo che nessun dolore, nessuna ingiustizia, non solo non avrebbero fatto commettere alcunchè di male a quel giovine incorrotto e incorruttibile, ma non gli avrebbero neppure strappato una parola acerba dalle labbra, tanto egli era schiavo della propria bontà e rassegnato ad essa!
Gli parlava misteriosamente, con frasi smozzicate, quasi per non farlo saziare, in una volta sola, del proprio dolore.
Ninì voleva sapere per qual ragione gli avesse