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Ninì De Vincentis pareva non si fosse rimesso ancora del tutto dallo spavento che s’era preso nel veder Capolino piegarsi su le gambe, ferito in petto dalla pistola del Verònica, al secondo colpo. Era stata, veramente, una terribile sorpresa per tutti, quella ferita. Le pistole, per tacita intesa fra i padrini, erano state caricate in modo da non produrre alcun effetto, volendosi che il vero duello avvenisse alla sciabola. E meno male che la palla, arrivata senza troppa violenza, aveva appena appena intaccato una costola ed era deviata dal cuore!
Ma non solo quello spavento teneva ancora il povero Ninì tanto abbattuto e sbalordito; Nicoletta Capolino gli aveva lasciato intendere chiaramente, che Dianella Salvo non era nè sarebbe stata mai per lui, quand’anche il padre non avesse opposto un così reciso rifiuto alla domanda.
Dopo la prima notte vegliata accanto al letto del marito, non ostante l’assicurazione dei medici, che ogni pericolo per fortuna fosse scongiurato, Nicoletta si era persuasa che non era più il caso di rappresentar la parte della moglie disperata, come aveva fatto a Valsanìa all’annunzio della ferita toccata “a Gnazio suo„. E s’era messa ad alternar le cure amorose e diligenti al suo povero “paladino„ ferito, con lo studio sapiente di rimaner lì a Colimbètra, nella memoria di don Ippolito Laurentano, ospite graditissima.
Ah, se al posto di quella foca di Adelaide Salvo fosse stata lei, là, tra poco, regina di quel piccolo regno! Sentiva che tutte le parti buone, di cui la natura aveva voluto dotarla e che la sorte aveva voluto opprimere e soffocare in lei, si sarebbero ridestate liberamente e avrebbero preso alla fine in lei il sopravvento; che ella avrebbe saputo render