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— Sì, un posticino qualunque.... infimo anche.... per cominciare, capisci?... Tu sai che posso.... m’adatterò a fare ogni cosa! Debbo, debbo essere a Roma, al più presto, m’ascolti?
— Sì, amore.... amore.... amore mio! — alitò egli; poi, stringendole le braccia e smaniando: — Come faccio? oh Celsina mia.... muojo....
— Zitto! — gli intimò Celsina. — Non voglio che ti sentano su.
— Allora vado.... non posso....
— Sì, va’ va’.... è tardi! Mi chiamano. Scrivimi subito, sai?
— Sì....
— Addio, addio.
Ma egli non sapeva lasciarle ancora la mano; le accostò il volto al volto, le domandò:
— Che mi dài?
— Che vuoi? — diss’ella.
— Te, tutta! Vieni con me, vieni con me!
— Potessi! Subito!
— Oh amore.... Che mi dai? — ripetè. — Qualcosa tua....
— Non ho nulla, Nino mio....
— Eppure ho qualcosa di te, sai? che tu m’hai data.
— Io?
— Non m’hai dato niente tu? Neppure il cuore un poco?
— Ah, quello....
— E un’altra cosa.... Non ti ricordi?
— No....
— La bambola....
— Ah, — sorrise Celsina, — quella coi baffi?...
— Non ridere, non ridere. Glieli ho cancellali, sai? Me la porto con me.