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Porto Empedocle, sentiva un freddo da morire; non gli pareva l’ora d’arrivare. Avvilito da quel bisogno meschino, si vedeva misero, degno di conforto, d’un conforto che sapeva di non poter trovare in nessuno.

Poc’anzi, tra quel fantoccio fuggito di là su la giumenta bianca e il Préola fermo più su ad aspettare con un ghigno rassegato su le labbra, aveva avuto lui stesso un’improvvisa e strana impressione di sè, che gli era penetrata fino a toccare e sommuovere dal fondo del suo essere un sentimento finora sconosciuto, quasi di stupore por tutti i suoi sdegni, per tutte le sue furie ardenti, che a un tratto gli s’erano scoperti, come da lontano, folli e vani, là in mezzo a quella scena di tanto squallore e di tanta desolazione. Nella magrezza miserabile del suo corpo tremante di freddo, e pur madido di un sudorino vischioso, si era veduto simile a quegli alberi, che s’affacciavano dalle muricce, stecchiti e gocciolanti. Gocciolavano anche a lui per il freddo la punta del naso e gli occhi, biavi, miopi. dietro le lenti. Si era ristretto in sè; e, quasi quell’impressione, toccato il fondo del suo essere e vanita in quello stupore, gli si fosse ora serrata attorno, com’irta angustia, si era sentito tutto dolere: doler le tempie schiacciate, le aguzze sporgenze delle terga, su le quali la stoffa della giacchettina d’estate aveva preso il lustro, e i polsi scoperti dalle maniche troppo corte, e i piedi bagnati entro le scarpe rotte. E tutto ora gli pareva un di più, una soperchieria crudele: ogni nuova pettata di quello stradone divenuto una fiumara di creta; la cruda luce dell’alba che, non ostante la cupezza di quelle nuvole, si rifletteva su la motriglia e lo abbagliava; ma sopratutto la compagnia di quel tristo, da capo a piedi imbrattato di